Terra Lieta

Terra Lieta

L’humus è una sostanza che si forma dalla materia vivente la quale, a fine ciclo biologico, si decompone. In condizioni particolari può essere stabile anche per secoli. Dall’humus rinasce la vita vegetale che sostiene l’intera catena alimentare. Eterna morte e rigenerazione, in cui si nulla crea dal nulla e nulla si distrugge definitivamente.

“Humus, humanus, humilitas, humatio” hanno la stessa radice etimologica. Humus in latino vuol dire terra, humanus  significa che l’uomo è fatto di terra e che la sua umile condizione è quella di ritornare inumato alla terra madre. L’umiltà di chi lavora la terra o vive in natura è proverbiale, pur disprezzata dalla vanità del cittadino borioso e ignorante come sottosviluppo ed arretratezza, contadino o selvaggio sono epiteti dispregiativi . Umiltà villana di chi fa nascere semi e vitelli  così come il contadino ha il potere saturnio della falce che toglie la vita:  lavora con le energie di una Creazione che non è avvenuta una tantum seimila o milioni di anni fa ma che è continuamente in atto, ogni secondo in cui pulsa l’universo, ogni giorno e notte, fase di marea e di luna, solstizio od equinozio a scandire il tempo reale di piante, animali e uomini, che è ciclico.

Esistono diversi tipi di humus, almeno sette, che si differenziano tra loro per proprie caratteristiche quali reazione acida o alcalina, rapporto carbonio/azoto, grado di saturazione basica relativa alla capacità di scambio cationico, struttura del terreno, vita biologica, umificazione e mineralizzazione. Di questi tipi di humus uno solo è adatto alla crescita ottimale della maggioranza dei vegetali di cui ci nutriamo ed è definito “mull calcico” o “delle praterie” o “agrario”.

Per comprendere la similitudine  tra humus delle praterie e humus agrario si consideri che nelle praterie dei climi temperati, dal Nord America, all’Europa, all’India e altrove, hanno pascolato per millenni enormi branchi di bufali, bisonti e uri e che  il loro letame è il  fondamento della fertilità organica agraria da altrettanti millenni. “Laetamen”,  significa “ciò che rende la terra lieta di messi”. “Laetus”, in latino, è equivalente di pingue, fertile e fecondo. Il nesso è evidente. L’umano sentimento di gioiosa serenità, la letizia (laetitia), deriva dalla prosperità e armonica bellezza di campi ben coltivati ad arte e dall’abbondanza dei raccolti. A dispense piene, si celebra il benessere con danze,  musiche e poemi, si ornano corpi, indumenti, attrezzi ed utensili, le dimore e i villaggi rurali degli uomini: coltura e cultura sono in origine la stessa parola. “Civiltas” è diversa e propria della “civitas”, la città murata.

Questo humus particolare si è formato quindi dall’azione del pascolo dei grandi erbivori ruminanti, dalle loro deiezioni e carcasse, di pelli, ossa, corna, unghie, sangue decomposte al suolo in sinergia alla materia vegetale morta e ai minerali del terreno. Il termine “uro”, temuta bestia descritta da Cesare nel De Bello Gallico e rappresentata nei graffiti preistorici, estinta da circa quattro secoli,  progenitore selvatico degli attuali bovini domestici, deriva dal tedesco “aurochs” che significa “bue delle golene fluviali”: questi animali, come i bufali e i bisonti, transumavano stagionalmente lungo gli assi dei fiumi dalle foci alle sorgenti, creando un proprio ecosistema ricco di risorse alimentari  atte al loro nutrimento. Non solo erbe foraggere, ma anche fogliame di  arbusti e piante, ghiande, frutti, ortaggi  e cereali selvatici sono il loro cibo originario nell’eden primordiale in cui  parte dell’umanità nostra genitrice ha trovato le condizioni ideali per sopravvivere ed evolversi.Le percentuali di azoto, fosforo e potassio necessarie al frumento sono in proporzione simili a quelle contenute nel letame di questi erbivori. Certo è che in natura, nei millenni della loro esistenza, i bovini non hanno mai mangiato soia, tantomeno ogm, come oggi sono costretti negli allevamenti industriali.

La catena del pascolo

I ruminanti hanno un sistema digerente a quattro sacche in cui, nelle prime tre, agiscono batteri, funghi e protozoi  presenti anche nel suolo e introdotti con i foraggi e solo la quarta funziona simile al nostro stomaco. La materia vegetale digerita da un ruminante ritorna al terreno come potente fertilizzante naturale in funzione della crescita e salute delle piante di cui il bovino stesso si nutre: il ciclo è chiuso, anello fondamentale della catena alimentare. L’erbivoro è in simbiosi ai vegetali di cui si alimenta, è organico ad essi, in armonia naturale, allo stato brado.

Il letame non è merda acida come la nostra e, a differenza di quello di cavallo o asino, i quali sono  erbivori monogastrici, i semi sono digeriti e quindi non rinascono, evitando al coltivatore anche maggior fatica a diserbare. Il cavallo, come altri animali e uccelli, ha la funzione ecologica di diffondere semi  che cadono a terra con un corredo nutritizio a favorirne germinazione e sviluppo, madre natura è intelligente.

In un prato pascolato da ruminanti o ben fertilizzato con il loro letame maturo, i foraggi sono per questi animali non solo più appetibili ed odorosi, ma anche più nutrienti e a vantaggio della loro salute. La buona erba e il buon fieno si avvertono nel gusto e colore del latte, del burro e del formaggio, nella qualità delle carni. In quel prato rivoltato con facilità dalla zappa o dall’aratro crescono un frumento grasso che fa profumare il pane ed ortaggi, legumi, frutta, sani e ricchi di sostanza e sapore. Con compost solo vegetale non si ottengono gli stessi risultati: l’humus agrario, come nei pascoli selvatici di un tempo, è indissolubilmente costituito da materia organica decaduta di animali e piante. L’ecologia non è un’ideologia, ma una scienza.

Nel prospero ecosistema originario, più relativamente recente nel tempo della Terra, i produttori primari autotrofi, i vegetali , che dipendono direttamente dall’energia solare e i consumatori primari eterotrofi, gli erbivori, chiudono l’anello fondamentale della catena alimentare terrestre di cui la specie umana è commensale (consumatore secondario) insieme ad altri onnivori, granivori, frugivori, carnivori e detritivori. I nostri antenati cacciatori e raccoglitori hanno trovato abbondante nutrimento, carne e vegetali selvatici, per decine di migliaia di anni soprattutto e principalmente nell’ambito degli ecosistemi fluviali del pascolo, non nelle fitte foreste, nelle pietraie aride, nei deserti, nelle terre innevate, nelle torbiere o nelle paludi, nonostante l’uomo si possa adattare a vivere anche in condizioni  e diete più estreme, ovunque sul pianeta. L’assunzione di proteine animali ha permesso e permette lo sviluppo del sistema nervoso e cerebrale e quindi dell’intelligenza.

Agri-Cultura

Prima di Giove non v’erano coloni che coltivassero la terra, né era lecito delimitare i campi tracciando confini: tutto era in comune e la Terra, [lett.Tellus: la dea madre] senza che le fosse richiesto, produceva spontaneamente” cantò Virgilio nelle su Georgiche dell’età dell’oro o di Saturno, quando gli uomini erano cacciatori e raccoglitori.

Il mito precristiano dell’uscita dal paradiso terrestre non è quello biblico della tragica maledizione di Eva e di Caino agricoltore, proprio di una cultura di pastori erranti e predoni del deserto, ma quello del padre Giove, il quale, declamò ancora il poeta, per evitare che il suo regno languisse nell’indolenza “quando vennero a mancare le ghiande,  i frutti delle selve sacre e persino Dodona non diede più cibo” volle che gli uomini  acuissero il loro ingegno ed impose di dissodare ad arte i campi. “Cerere per prima educò gli uomini  a coltivare con l’aratro la terra” e “la fatica ostinata  e le necessità, che urgono in circostanze difficili, vinsero tutto”.La precessione dell’asse terrestre determina verosimilmente sul nostro pianeta cambiamenti climatici: circa 13.000 anni fa, quando l’ultima glaciazione  volgeva al suo termine, la stella polare era Vega, Thuban, alfa del Drago indicava il nord al tempo di Cheope. Cambiamenti di energie cosmiche e terrestri, elettromagnetiche e psichiche, “panta rei” nell’eterno movimento.

Le grandi civiltà del passato si sono evolute tutte lungo valli fluviali fertili dove esistevano le migliori condizioni di sopravvivenza, ambienti in cui i cacciatori-raccoglitori transumanti al seguito dei ruminanti selvatici divennero allevatori e coltivatori sedentari mettendo a frutto la loro esperienza e conoscenza del grande libro aperto natura e dei suoi segreti, trasmesse di padre in figlio, di generazione in generazione. Addomesticare ed allevare bestiame fu per necessità, non per ingordigia o crudeltà. Da chi mio padre apprese e mi trasmise il valore fondamentale della stalla e del letame per la salute e prosperità della terra non fu da un testo scolastico, ma dai nostri antenati agricoltori  e contadini che si perdono nella notte dei secoli.

I principi naturali non sono soggetti all’idea moderna di tempo lineare e di progresso illimitato e, nonostante le manipolazioni genetiche attuali finalizzate a profitto lucrativo e potere, semi e bambini da sempre nascono nello stesso modo; gli attrezzi manuali dei contadini sono da millenni gli stessi, aratro, zappa e falce, prima dei trattori meccanici i buoi, prima della agrochimica tutta l’agricoltura era organica. Il “biologico” non è una nuova invenzione, è una tradizione millenaria di buona e corretta Agricoltura con la maiuscola.

Il mondo rurale, di cacciatori, pescatori, raccoglitori, allevatori, coltivatori e artigiani del legno, dell’osso, della pietra, del ferro e metalli, dell’argilla, del cuoio e pelli, dei tessuti, ha visto nascere e morire civiltà urbane ed è arrivato sino alle soglie delle città moderne, come immobile nel tempo. L’economia agraria, ossia la conduzione ad arte di un fondo agricolo, in cui ogni cosa ha un suo ruolo, funzione  e valore intrinseco, non risponde però ai parametri del profitto speculativo proprio della moderna agrochimica industriale delle monocolture e del suo “libero”mercato controllato dalla finanza delle multinazionali, che è quello che ha sfregiato le campagne e distrutto le culture rurali native un po’ ovunque. Non è “libertà” sia sfruttare in questo modo risorse umane e naturali.

Se per millenni cultura rurale e civiltà urbana hanno convissuto parallelamente e complementari, oggi la città senza mura ha compreso nelle sue leggi economiche, civili e sanitarie le campagne, ne ha mutato non solo paesaggi ma anche identità, ne ha costretto la gente nelle sue fabbriche, uffici e negozi a servizio del suo sistema di lucro, tasse e consumismo di lussi e sprechi. Altri, meno fortunati, stentano nelle bidonville o migrano per il mondo in cerca disperata dell’imperante “sogno americano”. Altri ancora, all’impatto con il “progresso” muoiono di fame. Raro che un vecchio contadino, come ogni nativo di madre terra, abbiano abbandonato volentieri la  vita libera in natura per inurbarsi senza rimpianti a parte la miseria cui furono ridotti da padroni, colonizzatori  e governi.

Non furono allevatori ed agricoltori a fondare le città e le loro civiltà, per il semplice motivo che in città non ci possono vivere, non ci sono campi da coltivare e pascoli per il bestiame. Le città furono sempre per signori della guerra, potenti e ricchi, industriali di manifatture e opifici, mercanti e banchieri usurai di “borgo”e loro servi e quindi da essi fondate.

Economia contadina ed economia liberale

Le famose praterie nord americane produttive di enormi quantità di cereali per decenni e decenni, hanno dovuto la loro fertilità ai bisonti che da tempi immemorabili vi hanno vissuto prima di essere  sterminati dall’ignoranza e dall’avidità dei portatori di economie liberali e capitaliste. Simile politica che ha sterminato  noi  contadini europei e le nostre  piccole stalle, eclissando quella che oggi, nei musei, si definisce “Civiltà Contadina”. In queste piccole stalle, in cui ogni animale era chiamato per nome, il numero di capi era mantenuto da vita e riproduzione in equilibrio alle superfici coltivate secondo il sistema  delle rotazioni foraggere: ogni anno, solo i capi eccedenti le risorse del fondo venivano ceduti o destinati al consumo. Questo era il modo di conduzione tradizionale, non quello moderno dei grandi allevamenti da ingrasso o da latte, che ha fatto del periodico lusso del consumo di carne un insano diritto quotidiano di massa. Il bestiame poi non era sempre tenuto nelle stalle alla catena, come predica la moderna zootecnia dell’unifeed a mais e soia, ma condotto anche al pascolo, oltre che impiegato come forza motrice. Le vacche si accoppiavano con i tori e non erano inseminate artificialmente né i loro ovuli trapiantati su altre vacche, il vitello veniva lasciato più a lungo sotto la madre e progressivamente svezzato continuando a mungere per averne il latte da consumo e trasformazione, non esisteva latte in polvere come oggi anche per neonati. La dieta dei bovini integrava stagionalmente fogliame, ortaggi da radice, cereali di seconda qualità, crusca, la prima qualità era per gli umani. Perché tutto questo non si fa più? Perché non rende profitto al sistema delle banche e della crescita illimitata, ragion per cui la mezzadria fu alla fine abolita nel 1964 per avere manodopera operaia e consumatori, ma ci vollero oltre cent’anni fino a quella data, a colpi di “tasse sul macinato” per far cadere definitivamente l’antica economia rurale di autosufficienza contadina e la sua civiltà. Quanto era utile un contadino a far girare denaro se si faceva tutto in  casa? Accumulava ricchezza sotto il materasso senza spendere se non in nuovi investimenti produttivi di attrezzi, bestiame, strutture e terreni. Ostacolo per lo sviluppo economico liberal borghese “noveau regime”,  contadini e borghesi, almeno dal tempo dei liberi comuni, sono nemici storici. Il popolo contadino non partecipò ai “liberali”moti unitari nazionali, li subì, come già il terrore e i saccheggi dei “liberali”rivoluzionari francesi. Quando inutilmente insorse, dopo l’unificazione militare  e dittatoriale della penisola italiana, lo fece in nome degli antichi sovrani di corti splendide e di buoni governi illuminati che furono, a confronto, “paternalisti” protettori dei loro contadini.

La Vacca Sacra

Il fatto che la vacca, il toro e il bue siano stati deificati ed assunti in cielo come splendida costellazione zodiacale,  il Toro, è perché fu loro consapevolmente riconosciuto il ruolo primario di rendere la terra fertile a produrre gli alimenti fondamentali per il genere umano, frutta, ortaggi e cereali, oltre che latte e carne.

Gli antichi culti agrari  vanno dal Bue Api egizio  all’India Vedica del toro Nandi veicolo di Shiva, di Krishna Gopala Govinda (protettore o guardiano del bestiame), cresciuto in un villaggio di allevatori di mucche e sposo di Radha-Lakshmi, reincarnazione della Gran Madre, mungitrice di vacche. Quella Gran Madre nata dalla spuma del latte cosmico, dalla nostra galassia (gala in greco è latte) la Via Lattea. Gran Madre che apparve ai Lakota come la Donna Bisonte Bianco, racconta Alce Nero. La simbologia traspare postuma nel cristianesimo stesso, in cui il Cristo, in uno dei vangeli, viene fatto nascere in una stalla riscaldata da un bue e da un asino.

Nei loro “De Re Rustica”, il corpus dei primi trattati di Agricoltura a noi pervenuti, scritti circa duemila anni fa, Varrone e Columella riportano la testimonianza che in Italia, o Vitalia, terra dei vitelli, in tempi già a loro antichi, uccidere un bue era passibile di pena di morte. Entrambi gli autori basano la buona pratica agronomica sulla presenza indispensabile del bestiame sul fondo, non solo con funzione di energia motrice e quale fornitore di alimenti e cuoio. L’Agricoltura “classica”,  definita da Varrone “non solo un’arte, ma anche una scienza di somma importanza, che ci dice cosa e come coltivare, affinché la terra produca in perpetuo abbondanza di frutti”,  era un sistema organico a ciclo chiuso rinnovabile, perenne e sostenibile, diverso se non opposto già allora dal sistema dei grandi latifondi a sfruttamento industriale, colonialista e schiavista di risorse umane e naturali. Quest’ultimo creò enormi ricchezze per pochi intimi al potere imperiale, distruzione di ecosistemi, povertà e miseria per molti contadini costretti ad inurbarsi, crisi inarrestabile di quella che fu un’economia di mercato globale.

Ripresa e risorta dal Rinascimento, con la riscoperta nel 1417 di quella bibbia agronomica che fu il De Re Rustica dell’iberico Columella, l’Agricoltura classica, in un prosieguo di continuità ideale tra antico e moderno, costituì sino alla rivoluzione francese e oltre, sino alla caduta dei regni e ducati sovrani italici, l’ossatura teorica delle economie agricole “ancien regime”a base di moneta aurea. Economie protette da dazi, locali ed autosufficienti poi travolte dal nuovo corso liberal borghese il quale impose banche private e moneta cartacea inflazionata, libera impresa e libero mercato industriale, società per azioni, borse merci e speculazione finanziaria, trasformando i contadini in proletari deificati dal marxismo. Da oltre cento cinquanta anni sino al mercato globale odierno. Prima si diceva: meglio mille contadini proprietari dei loro mezzi di produzione, come erano,  che mille braccianti, meglio mille telai femminili in casa che mille operaie sfruttate da un padrone borghese. I mercati erano ricchi di infinite opere uniche d’arte manuale e ingegno, non di prodotti tutti uguali fatti a macchina, senz’anima. Per capire ciò che sta accadendo oggi occorre una visione più ampia della Storia.

In tempi attuali, Vandana Shiva, leader a livello mondiale del movimento di agricoltura organica, in un suo discorso trascritto, “In praise of Cowdung” (In lode allo sterco di vacca- 2001), enfatizza con chiarezza sia la funzione fondamentale dei bovini in un ciclo agrario perennemente rinnovabile e sostenibile sia come i bovini e il loro letame abbiano permesso all’India il supporto alimentare di una civiltà millenaria, ragion per cui la vacca, nella religione induista è mantenuta simbolicamente sacra.

Cornucopia 

Se Rudolph Steiner fa del corno letame il principio omeopatico della fertilità del terreno di un’azienda agraria concepita come un organismo vivente a sé, la Cornucopia, ossia il corno bovino retto dalla dea Fortuna o Abbondanza, da cui esce ogni frutto della terra è l’antico simbolo dell’Agricoltura classica, in cui il “fundus” agrario, unità economica e giuridica  a ciclo chiuso ed autosufficiente era in sé “fundamentum” della vita dell’uomo in campagna. Questo quando Agricoltura non significava mera coltivazione dei campi come riduttivamente oggi, ma Cultura dei Campi Coltivati,  quale è la sua vera etimologia: cultura e coltura sono in origine la stessa parola, colto è coltivato ma anche erudito e saggio, ornato ed abbellito riferito alla campagna fiorente, culto era la religiosa devozione per Madre Terra e Padre Cielo, Tellus e Giove, prima ancora Opi e Saturno negli antichi culti agrari italici, i cui rustici dodici dei patroni precedono, nel tempo, quelli incensati degli eleganti templi cittadini. “Templum”, termine di origine etrusca, indicava lo spazio circolare di terra e cielo abbracciato dalla vista dell’aruspice.  Non era ed è la basilica in cui è rinchiusa l’immagine di  un dio trascendente che vive lontano dalla sua creazione, ma l’immanenza del soprannaturale, dell’energia vivente “eterna gioia”, come rimò William Blake.

Questo quando agricoltore era nobile arte e occupazione  di uomini liberi, “pii e virtuosi”, come furono anche “galantuomini”  a testa alta e sguardo fiero i nostri antenati contadini la cui sapienza di vivere a fatica oggi ricordiamo. Perduto od andato reciso, per molti,  è il cordone ombelicale della tradizione nativa del vivere dei frutti della terra madre e del nostro lavoro, non in competizione e antagonismo come oggi ma in rete solidale e cooperativa di autosufficienza a livello di comunità locali, quando l’economia era quella del dono e dello scambio di beni e opere, il peso della moneta aurea equivaleva al peso del grano e del pane, nessuno chiudeva le porte a chiave e la gente, nei campi, cantava al lavoro e celebrava i raccolti e la Vita.

 

 

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